Residenze Digitali: Hello World! – Diario di bordo

HELLO WORLD! di Ultravioletto 

Il progetto indaga il dualismo tra la vita e la morte attraverso un videogioco che offre agli utenti un’esplorazione interattiva in multiplayer: l’utente si muove in uno spazio virtuale e sonoro nel quale incontra messaggi sulla vita e la morte estrapolati grazie a un software di scraping che raccoglie i dati dai social. “Hello world!” è un videogioco che non ha obiettivi ma suscita la contemplazione e la cognizione di uno spazio dove vita e morte sono sullo stesso piano e spetta all’utente trarne un suo pensiero critico. 

Ultravioletto è uno studio di interaction design di Roma formato da Bruno Capezzuoli, Tito Cetroni, Massimo Zomparelli, Francesco Bruno Viteri, Giulio Pernice e Laura Arcangeli. Opera nell’area multidisciplinare che fonde architettura e design, racconto e installazione, contaminandola con le nuove tecnologie emergenti. Ultravioletto ha una spiccata sensibilità nella sperimentazione su un percorso di ricerca espressivo che valorizza i progetti di comunicazione quanto le opere artistiche che realizza. Un lavoro tra arte e nuovi media, installazioni interattive e performances.

HELLO WORLD! – il Diario di bordo  Un viaggio tra i temi della vita e della morte attraverso i social media, da vivere in un videogioco multiplayer in cui gli utenti esplorano e contemplano lo spazio virtuale e sonoro che li circonda, modificandolo come in una performance partecipativa.

Ne abbiamo parlato con Tito Cetroni e Laura Arcangeli di Ultravioletto, lo studio di interaction design di Roma formato anche da Bruno Capezzuoli, Massimo Zomparelli, Francesco Bruno Viteri e Giulio Pernice. 

Da quale urgenza nasce Hello World?  Nasce dal desiderio di sperimentare con la performance, pratica artistica che è un terreno da noi poco esplorato per mancanza di occasioni. Ci interessa indagare il tema della vita e quello della morte e come questi vengono affrontati nel mondo dei social perché sono temi estremamente interessanti che accomunano la società. 

Da dove siete partiti? Quali gli step?  Siamo partiti dalla definizione del concept intorno a questi temi e dal brainstorming sull’output di realizzazione del progetto, con i quali abbiamo vinto la call. Successivamente ci sono stati gli incontri con le tutor e i partner che ci hanno aiutato a capire quale fosse il “cuore” di Residenze digitali: un progetto di performances totalmente fruibili online che non lasciasse lo spettatore passivo davanti allo schermo ma anzi lo coinvolgesse nell’esperienza performativa.  Noi avevamo proposto una performance digitale che era più vicina ad un’installazione, per cui, grazie a questi incontri estremamente proficui, abbiamo fatto un cambio radicale nella struttura del nostro progetto e nella scelta del media da utilizzare.  Il risultato è un videogioco che offre, a più utenti contemporaneamente, la possibilità di esplorare un ambiente virtuale e sonoro dove non ci sono obiettivi: non ci sono monete da raccogliere, livelli da sbloccare o nemici da sconfiggere. Proprio questa caratteristica rende il nostro videogame contemplativo ed esperienziale, simile ad una performance partecipativa perché lo spettatore muovendosi nell’ambiente può incontrare gli altri utenti , interagire con loro e con lo spazio e il suono.

Com’è stato il processo?  Una volta decisa la forma del nostro progetto, abbiamo iniziato a muoverci parallelamente sia sul piano della drammaturgia e dell’esperienza utente, sia sul piano tecnico, di produzione e realizzazione. Ci siamo dedicati al look and feel, ovvero l’output estetico del nostro progetto, che si è andato modificando nel corso dell’opera, adeguandosi anche alla potenza grafica dei mezzi tecnologici disponibili nelle case dei nostri possibili utenti.     Avremmo voluto utiizzare il software Unreal Engine per creare una grafica che rispecchiasse  degli ambienti fotorealistici ma alla fine abbiamo preferito un altro ambiente di sviluppo per videogame: Unity. Perciò abbiamo  iniziato la produzione del nostro videogame con Unity e abbiamo modellato gli oggetti 3D, che popolano il nostro progetto, con Blender, software di produzione 3D open source.  Infine, ci siamo dedicati all’implementazione del “multiplayer” ovvero la modalità  di esperienza del nostro progetto che prevede la possibilità di far giocare più utenti contemporaneamente. 

Perché siete passati da Unreal Engine a Unity? Perché non tutte le persone hanno le stesse dotazioni tecniche; per fruire di un ambiente virtuale fotorealistico molto dettagliato è necessario un mezzo potente: un computer di ultima generazione, device che non tutti possiedono. Questi anni di pandemia ci hanno dimostrato che il computer non è uno strumento tecnologico presente in tutte le case . Il che ci ha fatto riflettere ulteriormente sul fatto che la tecnologia non è democratica. Pochi hanno devices molto performativi, la tecnologia è ancora un mezzo costoso. Tuttavia desideravamo che il nostro progetto fosse fruibile dal maggior numero di persone possibile e Unity ci ha permesso di  realizzare un videogame che fosse meno pesante da processare per la potenza hardware media dei mezzi disponibili in circolazione e che girasse anche su mobile. 

Quindi, che tipo di esperienza farà l’utente? Un’esperienza virtuale che potremmo definire “contemplativa”: un’ esplorazione di un ambiente tridimensionale dove è possibile incontrare i messaggi estrapolati dai post dei social ed avere anche una fruizione visiva e uditiva. Immerso nello spazio e stimolato visivamente e acusticamente, lo spettatore potrà esperire una performance partecipativa sul tema della dualità tra la vita e la morte.    

Dove si svolgerà l’esperienza? L’utente avrà un link dal quale potrà scaricare il nostro progetto. Con un click sul file, il pubblico avrà accesso all’esperienza. Si tratta di un videogioco in multiplayer perciò più utenti possono interagire, in una modalità che stiamo definendo e che scoprirete presto!

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